“Il quarto d’ora di Amedeo”: il debutto letterario di Marcello Scarienzo

Con “Il quarto d’ora di Amedeo”, Marcello Scarienzo firma un debutto che colpisce per lucidità e autenticità. Nato e cresciuto nel rione Sanità di Napoli, dopo anni trascorsi tra Londra e Milano, l’autore torna nella sua città natale non solo fisicamente, ma anche narrativamente, per raccontare una storia che parla alla sua generazione, e non solo.

Il protagonista, Amedeo Pacella, incarna il malessere silenzioso di molti giovani italiani: disillusi, precari, spesso spaesati in un mondo dove l’immagine ha preso il posto dell’identità. Il suo viaggio – dalla Napoli delle emozioni alla Milano dell’apparenza – è emblematico di una fuga che non è mai davvero altrove, ma da sé stessi. La metropoli promette successo e realizzazione, ma consegna solitudine e smarrimento, tra call center, subaffitti e notti sature di notifiche.

Scarienzo costruisce un personaggio che si affida ai social non solo per raccontarsi, ma per esistere. E in questo, Amedeo diventa simbolo di un’epoca in cui la connessione digitale ha soppiantato quella umana, lasciando però un vuoto che nessun like può colmare. Il romanzo si muove tra introspezione e ironia, e lo fa con uno stile asciutto ma penetrante, capace di tenere insieme leggerezza e profondità.

Il vero turning point arriva con la pandemia, che agisce da lente d’ingrandimento sulle fragilità del protagonista. È solo dopo un crollo, un’amicizia rimasta intatta e un incontro salvifico che Amedeo trova il coraggio di cambiare rotta. Il suo “quarto d’ora” non è quello di Warhol, fatto di fama, ma un istante privato di verità – il momento in cui ci si guarda davvero allo specchio e si sceglie chi si vuole essere.

Scarienzo scrive un romanzo generazionale che non cerca scorciatoie né facili redenzioni. La sua Napoli non è oleografica, così come la Milano che descrive non è patinata: entrambe sono reali, vive, complesse. “Il quarto d’ora di Amedeo” è un’opera prima matura, che riesce a parlare del presente senza moralismi, dando voce a un bisogno urgente di autenticità. Un esordio da leggere e da tenere d’occhio.

L’INTERVISTA

“Il quarto d’ora di Amedeo” è il tuo romanzo d’esordio: cosa ti ha spinto a raccontare proprio questa storia, e perché attraverso gli occhi di un personaggio come Amedeo?
Ero arrabbiato con me stesso, con quel che stavo vivendo e ciò che il futuro rischiava di propormi. Gli occhi del protagonista sono gli occhi di chi sa quale è la strada giusta da prendere per raggiungere un’isola felice ma che consciamente preferisce costruire una zattera e viaggiare verso il triangolo delle bermude. Sono gli occhi di chi ne ha viste tante e rifiuta la pace con elegante incoerenza.

Nel libro si avverte una forte tensione tra il desiderio di “fuggire” da Napoli e il bisogno, alla fine, di ritornare. Quanto c’è di autobiografico in questo percorso e quanto invece è frutto di osservazione sociale?
È sia tanto autobiografico, è in pratica il mio cammino Che frutto di osservazione sociale, una vera e propria critica verso quel che le grandi città italiane sono diventate (Napoli compresa)

Il tuo romanzo affronta con lucidità il tema della solitudine nell’era dei social. Secondo te, quanto questi strumenti contribuiscono a creare un’identità fittizia nei giovani di oggi?
Sono un arma gestita male, al minimo delle proprie potenzialità. La connessione digitale crea disconnessione umana, è un fatto. È troppo facile scattare una foto renderla “perfetta” o meglio SOCIALmente accettata e vendersi come prodotto al mercato.

La pandemia di Covid-19 segna un punto di svolta nel percorso di Amedeo. In che modo credi che quel periodo abbia cambiato il modo in cui le persone, soprattutto i più giovani, vivono sé stessi e le relazioni?
Questo periodo è stato sfruttato per digitalizzare l’intero mondo, compreso le relazioni umane. I più giovani non hanno vissuto senza l’uso degli smartphone, per loro, cresciuti in questa era tutto questo è normalità. Chi può dire se è giusto o sbagliato?

Nel libro si parla molto del confine sottile tra ciò che si è e ciò che si mostra: secondo te, nella società odierna, è ancora possibile essere autentici senza sentirsi fuori luogo?
Certo, tutti siamo autentici, l’omologazione nasconde il bello dell’unicità di ognuno di noi.

Nelle illustrazioni che condividi sui social il protagonista Amedeo è spesso circondato da donne attraenti, ammalianti: che ruolo ha l’eros nel percorso del protagonista?
Il sesso è uno strumento per Amedeo uno strumento che se usato male può portare all’alienazione. Un piacere che trascina in una crisi totale, un peccato a cui il protagonista non riesce dire di no.

Hai vissuto a Londra, a Milano e ora sei tornato al Rione Sanità. Quanto questi luoghi hanno influenzato il tuo modo di scrivere e la costruzione del mondo narrativo del romanzo?
Tantissimo, quando vivevo a Londra scrivevo lettere alle persone a me care, ero giovanissimo. Milano mi ha dato consapevolezza, conoscenza, forte senso critico. Il mio quartiere e tutte le sue peculiarità hanno sviluppato in me fantasia e identità.

“Il quarto d’ora di Amedeo” è un romanzo generazionale: che messaggio senti di voler lanciare, soprattutto ai ragazzi che si sentono smarriti tra aspettative irrealistiche e il bisogno di appartenere?
Che vivono quello che hanno vissuto tutte le generazioni e proprio come tutte le generazioni ne potranno uscire solo chiedendo aiuto al prossimo. Unione. Da soli non si vince mai.

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